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L’Alveare che dice sì, per mangiare sano basta un click

Cervello in fuga da giovanissimo, Eugenio Sapora torna in Italia due anni fa con un progetto che lui ama definire principalmente “bello”, una start-up che unisce la vendita di prodotti locali di qualità e la tecnologia. Eugenio porta nel Bel Paese L’Alveare che dice sì!, un modello di gruppo d’acquisto solidale 2.0. nato in Francia come la Ruche que dit oui!. L’obiettivo è l’incontro diretto tra produttori locali e consumatori, promuovendo l’agricoltura sostenibile e la spesa responsabile. Paroloni, di cui Eugenio per primo si libera. L’Alveare è in realtà una sfida quotidiana, come Eugenio ci ha raccontato in esclusiva, che si è posta come missione quella di portare nella società un cambiamento radicale, riportando le persone a ridiventare comunità intorno al cibo locale di qualità.

Che cos’è un Alveare?

Un Alveare è una community di persone, cittadini e contadini, che si incontra settimanalmente in un punto del quartiere per la consegna dei prodotti a km0.

Come si crea un Alveare? 


Si prende un referente di un gruppo di acquisto che viene chiamato gestore dell’Alveare. Il gestore, che può essere chiunque, si occupa di contattare e conoscere i produttori che forniscono gli alimenti al suo Alveare. Egli, inoltre, è una persona che conosce il territorio, le sue specialità, sa come muoversi. Poi, le persone che si iscrivono comprano online i prodotti e vanno a ritirarli in un giorno della settimana prestabilito.

Ci sono criteri precisi di “selezione” dei produttori?

Filiera corta, chilometro zero e controllo in fattoria: questi sono i punti cardine del nostro progetto. Abbiamo una carta etica che presto inaspriremo ancora.

L’idea dell’Alveare che dice sì com’è nata?


L’idea nasce in realtà in Francia, a Tolosa, a fine 2011. È un modello che prende spunto dai gruppi di acquisto solidali, i famosi G.A.S., che sono stati la prima vera voce di opposizione alla grande distribuzione organizzata. Un G.A.S è una cosa molto informale, è questa bella comunità che si basa sull’attivismo: chi vuol farne parte, deve anche partecipare alla vita associativa concretamente, deve essere il referente per un prodotto. Il problema è che non si riescono a implicare le masse, perché ognuno ha poco tempo e molte persone non riescono ad aderire. L’Alveare nasce quindi da questa esigenza, dal prendere un modello bello e portarlo alla grande massa.

La differenza, quindi, tra L’Alveare e un G.A.S qual è?

Il modello e l’ideologia sono gli stessi: l’Alveare riprende il modello dei G.A.S e lo fa uscire dalla sfera dell’attivismo e lo mette a disposizione delle masse. Inoltre, l’Alveare ha regole uguali per tutta Italia, invece nei gruppi solidali ognuno si fa le proprie.

I prezzi rispetto alla grande distribuzione come sono?


A parità di prodotto sono leggermente più bassi, da leggermente a decisamente più bassi… (ci pensa un attimo) In realtà è molto difficile paragonare i prezzi dei prodotti, per diverse ragioni: per prima cosa, i prezzi discount hanno delle logiche di mercato che fanno sì che un prodotto puoi trovarlo a prezzi irrisori. Ad esempio, dei pomodori provenienti dal Marocco, pagati una miseria, riesco a venderli a 0,99 al chilo; all’Alveare quello non lo troverai mai. Ogni contadino ha la libertà di fare il suo prezzo, alcuni esagerano, altri rispettano i prezzi di mercato. Bisogna, io lo dico sempre, boicottare chi esagera, è necessario che i prezzi siano allineati, non dico con lo 0,99 del discount ma con i mercati di Porta Palazzo. I prezzi dell’Alveare sono simili a quelli dei mercati contadini.

È quindi un mercato vero, dove la domanda incontra l’offerta?


Il contadino stabilisce i suoi prezzi ma il dialogo è sempre aperto.

Ad oggi, il progetto si sviluppa su 164 Alveari in tutta Italia e coinvolge persone di ogni età. Se l’idea è nata in Francia, comunque L’Alveare che dice sì è una start-up italiana che ripartisce e mantiene gli introiti in Italia: se si compra 10 in un Alveare di Roma, 8 andranno al produttore romano, 1 al gestore e 1 alla start-up, ripartizione che premia i produttori al contrario di quanto avviene nella grande distribuzione.

In Francia lavoravi già su questo progetto?

No, in Francia facevo tutt’altro, sono ingegnere aerospaziale. Mia mamma è professoressa di matematica, da piccolo ero bravo in matematica, a Torino c’era il Politecnico, non ho avuto molta scelta (scherza). In Francia avevo uno stipendio eccellente, conquistato in dieci anni di carriera, un posto “comodo” al quale, al giorno d’oggi, è difficile rinunciare. Sono partito dalla ricerca e sviluppo, ho lavorato un po’ per i satelliti, un po’ per gli aerei, poi per un’azienda energetica.

La scintilla che ti ha convinto a mollare questo benessere che ti eri conquistato qual è stata?

Ho sempre fatto particolare attenzione a queste tematiche alimentari. Poi, un giorno, ho incontrato per caso questo progetto a Parigi di cui mi avevano parlato. Il bar sotto casa si trasformava per una settimana al mese in una specie di mercato. L’ho trovato bellissimo e ho cominciato a pensare: “Perché non lo facciamo anche noi in Italia?”. Poi io e un amico ci siamo messi a lavorarci prima poco, poi sempre di più fino a farne un vero lavoro. Ho deciso quindi di lasciare la mia azienda quando ho capito che non potevo non dedicarmi al 100% a questo progetto. Sono partito dalla Francia in aspettativa, sfruttando la legge europea che obbliga il datore di lavoro a dare due anni di aspettativa ai dipendenti che vogliono creare una propria azienda. Ho corso un rischio ma non mi sono pentito, cadrò in piedi.

La fortuna di questo progetto potrebbe anche risiedere in questa moda del bio che c’è oggigiorno?

Pongo io una domanda a te: qual è la differenza tra bio, chilometro zero e filiera corta? La maggior parte delle persone la sa a grandi linee. Bio è un modo di coltivare senza pesticidi e c’è un label che lo attesta, il label bio. A volte però troviamo prodotti con il label bio che provengono da Paesi in cui non c’è nessun tipo di controllo: allora quanto vale questo bio? Chilometro zero significa comprare in un raggio prossimo, filiera corta vuol dire comprare direttamente dal contadino. Se noi, ad esempio, in inverno compriamo le arance da un contadino siculo rispettiamo la filiera corta ma non il chilometro zero. È importante che la gente sappia questa differenza, l’Alveare sposa il chilometro zero e la filiera corta, insieme.

La parola “contadino” oggi forse per noi ha quasi più valore che “bio”.

Effettivamente sì, il contadino è una garanzia. Noi pretendiamo che il gestore vada a conoscere, vedere, toccare con mano il lavoro del contadino.

In un mondo di consumatori ancora poco abituati all’acquisto online, non pensi che quest’ultimo sia il punto debole del progetto?

Sì, ci sono due aspetti in particolare: il primo è l’aspetto del calore umano, l’altro è il pagamento online. Per il primo, in realtà l’Alveare lo prevede perché, sì, da una parte c’è l’acquisto online ma, dall’altra, al momento del ritiro della spesa, i contadini sono lì, la comunità è lì, spesso il momento del ritiro rappresenta un momento gioioso. Ciò che rappresenta ancora un ostacolo è effettivamente il pagamento online perché c’è diffidenza. La gente ha paura, anche se è un ostacolo che bisogna superare. In Francia, ad esempio, è già diverso: io ci ho vissuto per circa dieci anni e giravo sempre senza contanti.

Avete quindi pensato a una o più soluzioni possibili?

Ovviamente sì, bisognerebbe incentivare il contante ma non è facile. Inoltre, stiamo ora parlando del centro-nord Italia: se qui c’è diffidenza al sud è molto più complicato. Bisogna anche dire le cose come stanno: c’è molto nero, sia da parte dei contadini che da parte dei consumatori. Se per arrivare anche al sud saremo costretti a fare un passo indietro con la tecnologia e andare in giro con un furgoncino, lo faremo. Nel frattempo, qualche gestore un po’ più accorto ha messo a disposizione delle carte prepagate oppure, altra novità che stiamo sviluppando adesso, sono le gift card, ovvero ti viene regalato o regali un buono di un tot a tua scelta da spendere per fare la spesa.

Sulla vostra carta etica, tornano spesso termini come armonia, atteggiamento benevolo, con un occhio di riguardo all’ecologia e alla salute: oltre all’attenzione alla spesa, possiamo dire che l’Alveare propone proprio un modello di mondo?

È uno dei punti fondamentali. L’Alveare non è solo fare la spesa ma sviluppare un’interazione tra contadini e consumatori, tra gestori e consumatori, creando una community intorno al cibo. In molti stanno promuovendo occasioni di incontro, conoscenza e formazione come l’Alverigita o l’Alveritivo.

Chi aderisce all’Alveare ha un nome?

Un’ape (ride)!

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